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L'ineguale sviluppo politico


Arrigo Cervetto (maggio 1976)
Pubblicato per la prima volta su Lotta Comunista, N° 69


"L'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo": questa è la formulazione che Lenin, nell'agosto del 1915, dà del movimento storico della società borghese.

Nella riflessione sulla teoria marxista dello Stato e nelle elaborazioni della strategia rivoluzionaria si è tenuto poco conto che Lenin nella formulazione della legge dell'ineguale sviluppo capitalistico, associa l'economico e il politico. Normalmente si è sottolineato l'ineguale sviluppo economico. Però, esiste anche un ineguale sviluppo politico; anzi, l'ineguale sviluppo del capitalismo è economico e politico. Nella formazione economico-sociale, struttura e sovrastruttura, economia e politica, produzione e Stato non possono essere separati se non nell'astrazione teorica. L'ineguale sviluppo tra imprese e settori capitalistici è una legge oggettiva che regola il mercato mondiale. E' una legge assoluta poiché regola tutte le componenti del mercato mondiale, senza eccezioni o particolarità.

Ribadita l'unità dialettica tra l'economia e la politica, possiamo, con Lenin, vedere come l'ineguaglianza dello sviluppo politico, l'ineguaglianza dello sviluppo degli Stati, sia una legge assoluta del capitalismo.

Marx, nel Terzo Volume del Capitale, individua nella forma democratica la "forma specifica" dello Stato capitalista e vede nelle altre forme di Stato capitalistico "variazioni" e "gradazioni" della "forma specifica". La "forma specifica" dello Stato capitalistico è la forma democratica della dittatura borghese alla massima purezza. E' l'involucro "puro" di un contenuto economico capitalistico "puro", cioè di una società composta solo da imprenditori e salariati tendente alla massima concentrazione dei mezzi di produzione.

Le "variazioni" e le "gradazioni" della "forma specifica" dello Stato borghese sono l'espressione delle variazioni e delle gradazioni dello sviluppo economico capitalistico "puro". Lo sviluppo economico del capitalismo è variato e gradato, quindi ineguale. Ne deriva che anche lo sviluppo degli Stati, che avvolgono tutte le parti del mercato mondiale, è variato e gradato, cioè ineguale.

Ciò pone il problema delle variazioni e gradazioni della democrazia, ossia della "forma specifica" della dittatura borghese. La storia teorica e pratica della politica borghese è, da questo punto di vista, la storia dello scontro pratico e del dibattito teorico tra le variazioni della democrazia. Due momenti importanti di questa storia si hanno nell'ascesa rivoluzionaria della borghesia e a cavallo del nostro secolo, quando la borghesia è ormai entrata nella fase imperialistica.

E' proprio in questi momenti che tutte le variazioni della democrazia trovano la più completa formulazione teorica. Ed è proprio in questi momenti che esse ricevono la potente risposta del proletariato, prima nell'opera di Marx ed Engels e poi nell'opera di Lenin. Quello che di decisivo e fondamentale la borghesia ed il proletariato avevano da dire sulla politica, sullo Stato, sulle varie forme di Stato lo hanno detto. Da decenni non vi è altro che una monotona ripetizione.

Oggi non si tratta più di scoprire la legge assoluta dell'ineguale sviluppo politico del capitalismo ma di analizzare la sua azione. Da questo punto di vista, la crisi politica italiana, la crisi derivata dallo squilibrio tra l'economia e lo Stato, può e deve essere vista come l'effetto dell'ineguale sviluppo economico e politico del capitalismo. Questa crisi politica è anche una crisi della dittatura democratica in quanto sono in crisi alcune sue variazioni e gradazioni quali il parlamentarismo. L'attuale imputridimento italiano è anche il risultato della paralisi politica derivata dalla mancanza di nuove variazioni della forma democratica della dittatura borghese.

L'ineguale sviluppo politico del capitalismo si manifesta nella esistenza di Stati democratici differenziati. Le riforme dello Stato che le principali metropoli imperialistiche hanno attuato, nel corso storico di decenni e come soluzione a crisi politiche provocate dall'ineguale sviluppo capitalistico e dalle sue contraddizioni e conflitti, dimostrano che le necessità di adeguamento sovrastrutturale sono imposte dalla sopravvivenza del capitalismo stesso. Lo sviluppo capitalistico porta alla concentrazione economica. A questa concentrazione corrisponde lo sviluppo dello Stato imperialistico che avviene in un continuo variare di istituzioni. Quando, per l'ineguale sviluppo mondiale economico e politico, le istituzioni dello Stato imperialistico non si adeguano con una continua variazione si ha uno squilibrio che esplode in una crisi politica. E' ciò che accade in Italia.

Perché le istituzioni dello Stato imperialistico, in certi momenti, non si adeguano ai movimenti strutturali?

La spiegazione stà proprio nella tesi di Lenin per cui l'ineguale sviluppo del capitalismo è economico e politico. Se appare chiaro che uno Stato di un capitalismo non ancora maturato imperialisticamente non può avere istituzioni politiche di tipo imperialistico, meno chiaro è perché le istituzioni di uno Stato imperialistico non si adeguino prontamente allo sviluppo del mercato mondiale.

Ci troviamo di fronte ad una contraddizione fondamentale dell'imperialismo che deve essere pienamente compresa nell'analisi della crisi politica. Nel capitolo sul parassitismo e la putrefazione del capitalismo, nella sua opera sull'imperialismo Lenin individua questa contraddizione:

"Come abbiamo visto, la base economica più profonda dell'imperialismo è il monopolio originato dal capitalismo e trovantesi, nell'ambiente generale del capitalismo, della produzione mercantile, della concorrenza, in perpetuo e insolubile antagonismo con l'ambiente medesimo. . ."

L'ambiente generale del capitalismo è il libero mercato. La concentrazione monopolistica, generata dal libero mercato, si trova in perpetuo contrasto con l'ambiente generale stesso del capitalismo. Così come non vi è una società capitalistica con soli monopoli, così non vi sono istituzioni politiche esclusivamente "monopolistiche". Anzi, siccome l'antagonismo tra monopoli ed il loro ambiente generale è perpetuo le istituzioni politiche, lo Stato, riflettono continuamente questo antagonismo. Ciò viene accentuato dalla crisi economica.

Per Marx vi sono due cause della crisi economica: il mercato e la proporzionalità della produzione.

Il ruolo essenziale nel determinare la crisi economica è svolto dalla contraddizione tra il carattere sociale della produzione e il carattere privato dell'appropriazione del prodotto. Questa contraddizione provoca, da un lato, il sottoconsumo dei produttori salariati e, dall'altro, l'anarchia nello sviluppo del prodotto sociale. Dato che l'appropriazione del prodotto sociale è privata, e dato che il consumo dei produttori salariati è decurtato dal plusvalore ne deriva l'impossibilità di avere un equilibrio tra la produzione ed il consumo. Perciò ne deriva la impossibilità di una previsione, di un piano. Il fatto che le decisioni individuali dell'impresa nella produzione portino ai piani del monopolio, sia privato che statale, e il fatto che i piani di impresa superino l'anarchia di produzione dell'impresa non fa che esasperare e moltiplicare l'anarchia del mercato.

Se il mercato è la causa della crisi economica dato che l'atto di vendita e di acquisto della merce è separato nello spazio e nel tempo, il piano di impresa che cerca di unificare e prevedere le due operazioni non fa che spostare la contraddizione in una dimensione più vasta, nazionale e mondiale.

Anche se fosse possibile produrre e vendere solo la merce quantitativamente e qualitativamente acquistata, ciò potrebbe avvenire solo a livello di impresa. In questo caso le decisioni di vendita e di acquisto coincidono perché determinate dalla decisione pianificata di vendita che prevede l'acquisto.

In questo piano si ha una proporzionalità tra produzione e consumo. Ma la proporzionalità non può prescindere, sul mercato, dal saggio di profitto. Proporzione e sproporzione sono l'effetto del movimento dei saggi di profitto. Il saggio medio di profitto è il risultato e non la condizione. Il movimento che lo determina è, appunto, quello che si manifesta nella sproporzione permanente che conduce alla proporzione contingente, subito superata.

Il regolatore di questo movimento sul mercato non è il piano dell'impresa o dello Stato ma la legge del valore. Il piano dell'impresa monopolistica è, quindi, in perpetuo contrasto con l'ambiente generale del capitalismo, con il mercato. Ciò si riflette sulle istituzioni politiche, sulla sovrastruttura, sullo Stato.

Da questo punto di vista, dati i diversi livelli di sviluppo, dati i tentativi differenziati di affrontare le cause della crisi economica con decisioni, sempre fallimentari, sulla produzione e il consumo, sulla vendita e l'acquisto, e con decisioni che riguardano la proporzione, risulta chiaro perché si ha una varietà di istituzioni dello Stato democratico. La crisi politica italiana, con la convulsione delle elezioni anticipate, ancora una volta è affrontata con un parlamentarismo paralizzante che aggrava la crisi stessa. Le soluzioni governative che esso può esprimere non faranno uscire l'imperialismo italiano dal suo imputridimento. Oggi più che mai è attuale e concreto l'astensionismo strategico come prospettiva di una visione rivoluzionaria che faccia uscire il proletariato da questo circolo vizioso e lo riconduca nella strada maestra della sua lotta antistatale ed anticapitalistica.

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