Skip to main content

Formule e contenuto del governo borghese


Arrigo Cervetto (marzo 1975)
Pubblicato per la prima volta su Lotta Comunista, N° 55


Da anni la nostra organizzazione conduce una opposizione rivoluzionaria al centro-sinistra. Questa formula di governo, dopo alterne vicende è entrata in crisi, aprendo prospettive per nuove formule tipo "compromesso storico" DC-PCI ,"asse preferenziale" DC-PSI, " alternativa di sinistra" PSI-PCI ecc., formule sulle quali si differenziano correnti e gruppi dei partiti parlamentari.

Ma la lotta politica è espressione delle lotte delle classi e delle frazioni di classe e non il risultato di formule governative e di schieramenti parlamentari. E' quindi necessario vedere oltre le formule e gli schieramenti, specie quando questi e quelli rispecchiano più rituali di propaganda ideologica che reali contenuti sociali. La nostra opposizione rivoluzionaria al centro-sinistra, non a caso, è stata ed è più che ad una formula governativa una opposizione alla strategia riformistica dei gruppi determinanti del grande capitale industriale privato e statale. Da anni queste frazioni borghesi si scontrano con altre frazioni , legate particolarmente alla rendita e alla speculazione, per riformare lo Stato e tutta la sovrastruttura secondo le esigenze della espansione imperialistica in competizione con gli imperialismi concorrenti.

La strategia riformistica non é un disegno volontaristico ma il prodotto di tre necessità:

1. alzare la produttività media del sistema italiano nei confronti degli altri sistemi capitalistici, in particolare nei confronti delle principali metropoli imperialistiche;
2. ristrutturare l'apparato produttivo italiano in modo da incrementare la produttività industriale:
3. adeguare lo Stato a questi obbiettivi.

Per fare ciò i gruppi determinanti del capitalismo hanno bisogno dell'appoggio dei sindacati, appoggio socialimperialistico che i sindacati sono stati sempre disposti a dare ed avrebbero sempre dato se non fossero stati soggetti a profonde contraddizioni La prima contraddizione è data dallo sviluppo del capitalismo italiano stesso negli anni '60. Questo sviluppo, aumentando il proletariato, ha messo in moto la lotta economica operaia per adeguare il basso salario ad un livello europeo del mercato della forza-lavoro. Questa spinta salariale oggettiva, quando è riuscita a tradursi in movimento, si è espressa con una forte spontaneità. Non poteva avvenire altrimenti, e non potrà essere altrimenti qualora la spinta salariale si traduca in movimento, dato il ruolo specifico che il sindacato assume come controllore del livello salariale compatibile alla concorrenza interimperialistica. Da decenni avviene nelle principali metropoli imperialistiche e ciò che ha fatto e fa il sindacato italiano non è altro che l'imitazione di quello che hanno fatto i sindacati americani, inglesi e tedeschi. Quello che caratterizza il sindacato italiano non è tanto il ruolo socialimperialistico di controllo salariale ai fini della concorrenza internazionale delle produttività industriali, quanto la sua incapacità, data la sua direzione interclassista, ad intervenire nella strategia riformistica di regolamentazione dei consumi improduttivi. Perciò il sindacato italiano, più che quello di altri paesi, è destinato a scontrarsi maggiormente con la spontaneità operaia e a svolgere maggiormente la funzione di repressione antisalariale. Le lotte operaie negli ultimi dieci anni lo dimostrano ampiamente.

A queste lotte si sono contrapposte immediatamente tre tipi di manovre.

La prima, da parte delle frazioni borghesi più arretrate ,con ampio appoggio piccolo borghese e naturale collegamento con ampi settori dell'apparato statale, attraverso una campagna terroristica di propaganda e di fatto (stragi, attentati, provocazioni varie). La seconda, da parte delle frazioni riformistiche con tentativi di incanalare il movimento della lotta operaia nell'alveo delle riforme (i cosiddetti "consumi sociali", sanità, trasporti, scuole, ecc.) che nella pratica sociale non sono altro che, da parte borghese, una riorganizzazione della produttività generale e, da parte proletaria, un atteggiamento riformistico verso lo Stato. La terza, infine, da parte dei partiti parlamentari interclassisti, specie dei maggiori DC e PCI, con un tentativo di riprendere il pieno controllo di quella spontaneità operaia determinata da uno sviluppo capitalistico mondiale che ha profonde influenze sul mercato italiano.

I sindacati, in quanto apparato burocratico, si trovano al centro di queste pressioni. Riescono a tenere testa alla campagna terroristica, ma sono subordinati alla strategia riformistica del grande capitale e sono controllati dai partiti interclassisti parlamentari che li usano nelle loro lotte di correnti politiche esprimenti gli interessi divergenti o convergenti delle varie frazioni borghesi.

Questi interessi, che hanno dato vita ad un ampio scontro l'anno scorso all'interno dello stesso grande capitale industriale, hanno trovato un compromesso temporaneo e precario nella linea Carli - La Malfa portata avanti dal governo Moro.

Come formula, il governo Moro è di centrosinistra, ma è nel contenuto che va analizzato per quello che rappresenta. Negli ultimi anni una accanita lotta interimperialistica ha ridotto il peso specifico dell'imperialismo italiano sulla scena mondiale ed avviato un processo di relativo indebolimento dell'Italia che tutte le frazioni hanno interesse a bloccare e, possibilmente, a invertire. Su questo punto, perciò, viene a realizzarsi una oggettiva convergenza di interessi, dimostrata, peraltro, a livello politico da un sostanziale accordo di politica estera fra tutte le frazioni e fra tutti i partiti parlamentari.

Il relativo indebolimento dell'imperialismo italiano avviene nei termini di scambio tra il mercato nazionale e il mercato mondiale. Ciò significa che i capitalisti italiani devono cedere una parte del prodotto, una parte del plusvalore realizzato. In altri termini: o produrre questa parte in più, lasciando inalterata la quota di investimenti e di consumi, o consumarla in meno o, infine, ridurre gli investimenti.

Su queste alternative si è aperta fra tutte le frazioni borghesi una aspra lotta. Tutte sono d'accordo, da quelle arretrate a quelle riformistiche, che a pagare al mercato mondiale, cioè agli imperialismi concorrenti più forti e ai detentori della rendita delle materie prime non possono essere nè la grande borghesia né la piccola borghesia ma solo il proletariato. E, infatti, è in corso una massiccia compressione del consumo operaio, iniziata dalla tornata contrattuale del 1972 e gestita dai sindacati all'insegna della bassa richiesta salariale e dalla linea per le riforme.

Nel 1974, secondo il bilancio di "Le Monde", il salario reale, mentre è aumentato del 4,9°% in Germania, dell' 1,6% in Gran Bretagna, del 5% in Francia e del l,3% in Giappone, in Italia è diminuito addirittura del 5% Tutte le metropoli imperialistiche hanno, evidentemente, la sfortuna borghese di trovarsi in una crisi di ristrutturazione, con aumento dei prezzi delle materie prime e massiccia disoccupazione. Se hanno in comune con l'Italia questa sfortuna non hanno, invece, in comune la fortuna di avere un sindacato "ideologicamente avanzato" come predicano i Trentin, i Carniti e i Lama. Ce la lasciano tutta a noi. Di fatto, un regresso così massiccio del salario reale significa che il prodotto italiano esportato viene a costare di meno, ad esempio, di quello tedesco che ha visto il salario reale aumentare. In questo modo, tutte le frazioni cercano di fare pagare interamente al proletariato l'indebolimento relativo dell'Italia. Su questo, come abbiamo detto, hanno trovato il pieno accordo, cioè trovato quella "unità nazionale" che va dalla destra alla sinistra parlamentare.

Il disaccordo tra i gruppi borghesi è, invece, un altro: produrre di più, con consumo inalterato ,o consumare di meno.

Il governo Moro, con la sua linea economica Carli - La Malfa, rappresenta il compromesso transitorio ,cioè: produrre di più per l'esportazione e consumare di meno all'interno. Ciò significa che il già compresso consumo operaio lo sarà ancora di più. E' a questo punto che sorge un'altra contraddizione, questa si insolubile malgrado tutte le convergenze. La riduzione del consumo operaio riduce inevitabilmente la produzione del settore dei beni di consumo. Il problema sarebbe risolvibile se questo settore riuscisse a compensare con una maggior esportazione quei beni che sono consumati in meno dalla classe operaia. Ma è proprio questo settore che si trova, a livello mondiale, in una crisi di ristrutturazione dati i profondi mutamenti in corso nella divisione internazionale del lavoro.

I giovani capitalismi sono ormai entrati in una fase d'industrializzazione inarrestabile che coinvolge proprio il settore dei beni di consumo che ha una più bassa composizione organica di capitale. Per quanto possa essere compresso il salario reale italiano non riuscirà mai ad essere abbassato al livello di quello dei giovani capitalismi che hanno enormi serbatoi di forza-lavoro a basso prezzo a cui attingere. La crisi dell'industria automobilistica è l'esempio lampante di questo fenomeno. Anno per anno aumenta sempre più la quota prodotta nei paesi a giovane capitalismo. La crisi di ristrutturazione, pagata come sempre da un proletariato colpito dalla disoccupazione, è in atto nelle metropoli imperialistiche. L'imperialismo italiano deve adeguarsi rapidamente a questo gigantesco processo, pena la emarginazione e il decadimento irreversibile. E' una questione di pochi anni, non di decenni. L'avvenire del mondo capitalistico è ormai pieno di lotte esasperate, di conflitti, di guerre con vecchi e nuovi protagonisti. L'influenza nefasta dell'opportunismo e del suo personale costituito da intellettuali piccolo-borghesi impedisce al movimento operaio italiano una necessaria conoscenza delle tendenze di fondo che operano sul mercato mondiale. Si potrebbe dire per gli strati intermedi intellettuali quello che Lenin disse per l'imperialismo italiano: così come vi è un imperialismo straccione vi è una intellettualità stracciona. Ciò dà all'opportunismo italiano un carattere particolarmente degenerativo. Le sue ideologie sono quanto di più deformante vi possa essere. Ciò rende particolarmente dura la battaglia per dare al movimento operaio una strategia adeguata ai movimenti che agitano il mondo capitalista. Eppure solo in quadro mondiale possono essere posti i problemi della lotta di classe in Italia perché è proprio questo quadro che il grande capitale tiene presente nell'impostare la sua strategia riformistica.

In definitiva: senza teoria rivoluzionaria non vi è movimento rivoluzionario, senza analisi dell'imperialismo non vi è lotta di classe nelle metropoli dove l'imperialismo sfrutta e combatte per la sua sopravvivenza.

Popular posts from this blog

Leapfrogging: The Chinese Auto Industry’s Leap Forward

Internationalism No. 73, March 2025 Page 15 From the series The world car battle It is predicted that next year in China the sales of electrified vehicles (mainly battery-powered or hybrid) will for the first time overtake those of cars with an internal combustion engine. This development will mark a historic about turn which will put the world's biggest auto market years ahead of its Western rivals [Financial Times, December 26th]. Meanwhile, the growth in sales of electric vehicles in Europe and the United States has slowed. BYD's leap forward Another important development in 2024 was the record sales of Chinese brands in China: they rose from 38% of the total in 2020 to 56%, a sign of the maturation of the national auto industry which is now able to challenge the Japanese, American, and European manufacturers. BYD's leap forward is impressive, comparable to that of Ford Motors after the First World War, when with the Model T, introduc...

The Works of Marx and Engels and the Bolshevik Model

Internationalism Pages 12–13 In the autumn of 1895 Lenin commented on the death of Friedrich Engels: "After his friend Karl Marx (who died in 1883), Engels was the finest scholar and teacher of the modern proletariat in the whole civilised world. […] In their scientific works, Marx and Engels were the first to explain that socialism is not the invention of dreamers, but the final aim and necessary result of the development of the productive forces in modern society. All recorded history hitherto has been a history of class struggle, of the succession of the rule and victory of certain social classes over others. And this will continue until the foundations of class struggle and of class domination – private property and anarchic social production – disappear. The interests of the proletariat demand the destruction of these foundations, and therefore the conscious class struggle of the organised workers must be directed against them. And every class strugg...

Uneven Development, Job Cuts, and the Crisis of Labour Under Global Capitalism

Internationalism No. 73, March 2025 Page 16 Uneven development is a fundamental law of capitalism. We have a macroscopic expression of this in the changing balance of power between States: Atlantic decline and Asian rise are the key dynamics behind the political processes of this era, including wars caused by the crisis in the world order. But behind all this there is a differentiated economic trend, starting from companies and sectors: hence the differentiated conditions for wage earners. And this is the element to keep in mind for an effective defensive struggle. It’s only the beginning The electrical and digital restructuring imposed by global market competition affects various production sectors. The car industry is the most obvious, due to the familiarity of the companies and brands involved. We have already reported on the agreement reached before Christmas at Volkswagen, which can be summarised as a reduction of 35,000 employees by 2030. Die Zeit [De...

The British Link in the Imperialist Chain

Internationalism No. 33, November 2021 Page 8 Lenin often used the metaphor of a chain that binds the world to describe imperialism. The October Revolution of 1917 broke a first link in that chain and hoped to pull the whole thing loose. The metaphor was adopted in those years by all the Bolshevik leaders and the leaders of the newly formed Third International. Within a decade, Stalin's well-known formula of socialism in one country signified the overturning of that strategic cornerstone and the defeat of the revolution in Russia, in Europe, and in the world. Dates that have come to symbolise historical change act as the synthesis of previously accumulated contradictions, and, while such a sudden change does not exhaust the possibility of future contradictions, the concentration of events in 1926 nonetheless marked a watershed that revealed the true extent that the counter-revolution had reached. The great general strike in the United Kingdom that year, wh...

Return to Marx

In 1967, «Marx Is Not a Has-Been in Detroit» was a Lotta Comunista headline for a memorable event, the struggle of the black proletariat in the American automotive capital. The race issue concealed class contradiction in itself; the centre of the struggle remained the factories of the metropolises in the industrialised powers, and not the countryside which should have surrounded those cities in the then fashionable myths of Maoism and Third-Worldism. Half a century later, a lot has changed, but not that class principle. The China of Mao Zedong’s peasant populism has become an economic power playing on the same level as America and Europe; its industrial giants challenge those of the West which had once subjugated it, but hundreds of millions of Chinese proletarians have also been added to our world class. It’s been quite a while, and since the time for a modern class struggle has also come to the Asian metropolises: Marx is not a has-been in Beijing, Shanghai, Wuhan and Canton, as h...